martedì 17 gennaio 2012

Cinema americano/Gran Torino





Sceneggiatura 9: oltre le profondità stratificate di convenzioni al bancone di un bar, occultata dall'accumularsi di cicatrici sanatesi male, l'anima umana ha sempre a disposizione la redenzione, sia essa l'ultima mossa ragionata di un'esistenza consumata o il bivio difficile da prendere negli anni dell'uniformità di massa. Profondo.
Scenografia 7: Detroit, Michigan, la crisi dell'industria automobilistica svende ad immigrati villette un tempo prospere di neighborhoods di veterani, tra tosaerba e vecchie auto sportive che inquadrano perfettamente la società descritta, pur con poche particolarizzazioni.
Cast 8: l'ultima recita del grande vecchio, credibile duro dai principi razzisti di chi ha avuto rare occasioni di mescolarsi al diverso, incoraggianti le prestazioni degli Hmong American (notably cf Ahney Her).
Regìa 8: una punta di stucchevolezza nell'improvvisa fraternité intergenerazionale non appanna la visione complessiva del dramma, cura maniacale delle inquadrature e dei dialoghi, lo spaccato di un'America che cambiando in larga misura in pèggio ha nel vialetto davanti casa la strada per risorgere.

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