sabato 28 giugno 2014

Cinema italiano/Black Cat



Sceneggiatura 6,5: Fulci rilegge Poe in maniera letterale, gli omicidi di un gatto celano una facile soluzione al mistero, toni classici da giallo tedesco londinese.
Scenografia 7: strade e case dell'Inghilterra più remotamente tipica di case in mattoni e terrazze georgiane, interni dal tono coloristico di un imprinting ancora settantiano.
Cast 6: una serie di morti ammazzati che interpretano l'attimo sfuggente in maniera dignitosa, il mentore di Kubrick piuttosto affettato da una serie di effetti speciali poco riusciti.
Regia 6,5: colonna sonora super e atmosfere ben ricreate da thriller, una lunga fase lenta e un'accelerazione finale, i momenti horror discreti nel loro omaggiare maestri celebri.



martedì 24 giugno 2014

Il mito Rohmer/Pauline alla spiaggia

 
 
Sceneggiatura 9: il gioco delle parti amorose declinato nella sua forma più classica e tuttora attuale, le vacanze al mare, con gli annessi e i connessi di maturità adolescenziali e immaturità adulte.
Scenografia 8: splendida Granville, uno shot panoramico al più famoso Mont St.Michel non intacca il romanticismo perfetto della baia a villette monofamigliari e spiaggia larga da bassa marea.
Cast 8,5: sei protagonisti di uno scambio continuo di attenzioni, attori debuttanti praticamente perfetti nel recitare la quotidianità esemplare di tante esistenze similari.
Regia 8: tempi lenti che rallentano meno del solito data la tensione degli eventi, dialoghi di una profondità ovvia, simmetricità di storia e riprese complementare. Il suo miglior film?
 
 

sabato 21 giugno 2014

Cinema romeno/Oltre le colline



Sceneggiatura 6: lo spunto letterario, la resa fedele, il tema arcigno ed esageratamente tirato, la chiusura della religione di professione al mondo esterno moderno.
Scenografia 7: terra di monasteri, la Romania bucolica e un set costruito appositamente di lamiere evidenti e suggestioni comunque notevoli, lo status di turisticità negato dalla demolizione.
Cast 7: ottime interpretazioni femminili per l'alba di un amore proibitissimo, papà e mamma di religioni ortodosse cieche e letterali come da aspettative.
Regia 7: pellicola che si incupisce progressivamente seguendo il lento tracollo verso l'inevitabile, paesaggismo mirato e primi piani bui di una resa emozionale un po' costruita.



venerdì 13 giugno 2014

Flags/Vietnam


IL MATRIMONIO DEL DRAGO E DELLA FATA

Situazioni al limite dell'autocitazione, saluti benauguranti, a gin and tonic in replica sulle turbulenze del ritorno, uno scivolo che avrebbe fatto impazzire il bambino sacrificato alle poche zanzare diurne. Il grigio è già verde prima dell'atterraggio, le preoccupazioni residue sono quelle del cambio, un passaggio di cartello al volo ed ecco immediatamente suggestioni generiche asiatiche, Colombo, Dacca, Bangkok, poi il primo segnale di fluvialità incipiente, un Eiffel fasullo, laghi e ristoranti, il tramonto sul murale di propaganda, un dedalo di vicoli alberati a fili a vista. Sky Hotel, il box doccia da fotografare, i visti fotocopiati, l'aura di foresta urbana a pervadere le strade trafficate di caschi e motorini, pedonali rilassanti di cibo di strada, posti posh per le nuove generazioni del partito, un ospedale di attraversamenti avventurosi, il bokeh che fa innamorare sullo sfondo del lusso imminente. La grazia francese non ha lasciato le imitazioni dell'Opéra parigina o i vecchi hotel coloniali rilevati da catene transalpine, la vitalità delle partite a volano è quella orientale di un cosmopolitismo in fase embrionale e stalli di thé verde scambiati per bia hoi, una pannocchia trafugata a far perdere la faccia. Si cena all'ombra di patii dal tipico color giallo senape vietnamita, il 104 segna il traguardo della cucina più affascinante di miscugli di erbe tra riso, zuppe, verdure onnipresenti e ardite combinazioni tra pesce e carne, un vino della Dalat di Pechino Express timido rimpianto dal secchiello tardivo. L'alba delle 5 del mattino è quella della signora che prepara incessantamente gli involtini di riso ai gamberetti per le colazioni dei numerosi avventori quotidiani, il dragon fruit a colpire per bellezza, le prime timide istantanee a piedi nudi di un mondo di negozietti a 36 direttive, catene occidentali e boutique di moda nel pout-pourri di falsa italianità e segnalazioni decisive, Tripadvisor vicino al sorpasso su Lonely Planet. Ocean apre i battenti senza la sua lunga lista di imitatori, gli impiegati, numerosi come in tutto il paese, non fanno conversazione tra una bottiglietta di LaVie e un saldo ridotto di tour accompagnati 'twice at the jadeite' style. Il ponte distrutto dagli americani (ai quali non si porta il minimo rancore), India, Malaysia e Singapore pilastri del turismo 'locale' sullo sfondo di fabbriche delle Canon, condomini di insegne luminose, statuaria costosa di caffé vietnamiti dolciastramente piacevoli e altra presenza giapponese all'atto di costruire strade. L'UNESCO annuncia da lontano la sua presenza con monumentali archi decorati a colonnine, alberi piantati di recente nella corsa all'uniformità da waterfront occidentale, imbarcazioni tradizionali pronte a salpare per il pranzo della formica e del fertilizzante, il turista portoghese e la 333, la brezza del Mar della Cina meridionale a introdurre rapidamente alla creatura del dragone. Halong Bay, ottava meraviglia del mondo, il clima più che favorevole tra le insenature di grotte e giubbetti arancioni, il bucato delle case galleggianti e la paccottaglia turistica delle cineserie di un confine vicino, bamboo boat a stravincere su kayak. Ha Noi Bia, le luci colorate di stalattiti e stalagmiti, ao dai e non la (sposerà), movimenti di pescatori dalle reti azzurre, turismo di massa diluito di impressioni di fine maggio positive, la stanchezza di una sigaretta che ha creato amicizie, una scimmietta che salta sui treni alla periferia di Tokyo. L'anguria fotogenica richiamerà brevemente i fasti di una cena a consigli e piatti tipici, portate ordinate due volte e camerieri umili di un'insalata di mango da abbinare a un whisky sour 24/7, il pesca dell'abito tradizionale catalizzerà le attenzioni di una svaligiatrice munita di carta di credito, il caffé francese devant la Cathédrale (tu-la vois?) porterà indagini informative e uno zoom incapace di reggere al vento delle banderuole. L'hotel degli indiani prevale sulle vetrate di Grenoble, abitini tradizionali gialli, studenti del loco e code per una gelateria, i 'nuferi' che si chiudono la notte, il ponte rosso perennemente attraversato da una folla visitante e poco pregante secondo il dogma ateo di Ho Chi Minh, l'incenso e le lanterne tra i soggetti preferiti dei selfie contemporanei. Mailinh inaugura la sfida con Vinasun di affidabilità provata, la berlina verde e la pagoda arancione, l'artista di strada non vedente e le piastrelle ustionanti, le foto classiche e i laghi speculari, i fiori falsi e i sogni veri di coppiette appartate sulle panchine ombreggiate. Il regime torna evidente nel divieto di fotografie per lo splendido palazzo presidenziale appena rinnovato, il plotone di sorveglianti a rimandare a marciapiedi in costruzione sul lato lontano della monumentale spianata sovietica del mausoleo del grande leader, donne autocotone che tentano l'imitazione allo straniero, fiumane di ragazzini all'occasione della riverenza e della meditazione dal caldo opprimente. Bersaglio mancato, la pagoda su un solo pilastro, icona turistica sin dagli anni '70 di accessi chiusi, affoga tra lamiere e vegetazione opprimente, il taxi clacsonante avrà il tassametro manomesso di imbrogli probabili e il Tempio della letteratura ideogrammi floreali e nidiate di laureati riconoscenti in posa sotto la porta benaugurante. Catherine Deneueve un'Indocina ormai lontana, il gabbiotto dei vigili assesta i semafori non sempre rispettati, la regola è sempre quella, il licenziamento in diretta porta vecchi PC sulle ali di uno scooter, i backpackers a ciondolare tutt'intorno a una caduta repentina dei prezzi in attesa della prossima bibbia neozelandese. Vietnam Railways, la sala d'attesa ospita viet e minoranze etniche all'ultima corsa per la montagna, un occhio scrutatore da lontano e una digitale compatta olandese che ci precede nello scompartimento, ben presto ravvivato dalla ghiacciaia e dal commerciante di Vinh, voci al telefono e musiche che si fermano, la sterminata periferia della capitale a scorrere buia di gare con le famiglie tra le urla pavide di fantasmi evanescenti di viaggi mai fatti. L'aria condizionata e la porta aperta, i venditori e la sicura chiusa, n-au furat, la discesa dell'umanità residua alle quattro del mattino, tentare la fuga tra le risaie dei carri trainati dai buoi dell'iconografia classica, picchi verdi e cimiteri di lapidi sparse, le memorie di un viaggiatore solitario, la discesa come la salita sul primo binario di facchini ladri e controllori donna che rifanno il letto con l'occupante ancora seduto. Hué, ex capitale imperiale di quarant'anni di unificazione precox, l'ombra della stagione iberica a settembre, three dollars e un upgrade gratuito in suite a coprire le magagne di Booking.com, lo schermo che indica il benvenuto personalizzato, la vista sul giardino inaccessbile, il panorama dei sessanta metri quadri a spaziare sullo stadio e sul fiume, lontane le chiese di wikipedia e le tombe dinastiche della Michelin. Una torre avamposto è il rifugio sicuro del meter, una simpatica coppia di riscionisti allieta tre quarti d'ora del nostro caldo umido con un percorso della cittadella tra le mura interne e quelle esterne, scuole celebrative e aerei come bottino della guerra più famosa, l'immancabile placca dell'eroe nazionale (che visse anche sopra la Trattoria della Pesa, cit.) e il refrigerio minimo della lente ambrata. La luce a picco del meridie spiazza obiettivi semiprofessionali e percorsi alla ricerca di target assenti, la tricromia prevalente, il biglietto maggiorato dal trend dei quattro milioni e mezzo di visitatori annui, i corridoi ombreggiati lungo i canali un excursus piacevole in un mondo dorato di città proibite purpuree e dragoni gialli in plexiglass, la floricoltura in plastica abbinata agli spettacoli teatrali di quadri dal soggetto ridondante. Saracinesche colorate come forma d'arte, un ristorante a forma di fiore di loto dove fanno tappa obbligata i torpedoni di un turismo organizzato fortunatamente fuori stagione, la barche colorate un'istituzione recente che non vince la sfida con i flag store Converse di tempietti e offerte in incenso e marijuana per i defunti. E l'acqua non scende, e il caricabatterie non si trova, e l'happy hour è autolimitato, produzioni di borsette con resti di lattine e tappi, un indirizzo non trovato, lo stupore di chi è 'original', una bottiglia di champagne per altre occasioni e un giardino tropicale di camerieri premurosi a illustrare piatti e tecniche di approvigionamento, le due lingue dei grandi colonizzatori europei sempre prevalenti. Pham Ngu Lao sarà poi il rifugio degli zaini in spalla nella città di Apocalypse Now, e mentre lasciamo la luce della mezzanotte il nostro driver di fiducia fa il percorso interno, replicando statue ancestrali di imitazioni a tempio, il briefing dei ferrovieri che anticipa quello della crew di Doha, è ancora Reunification Express per poche ore di un panorama imperdibile non sempre convincente dai finestrini di Mister Preoccupazione e di un televisore in dotazione a chi ha fretta di scendere alla prima fermata. Da Nang, il Vietnam meno turistico, le comitive non passano di qui e pochi individuali vi fanno base, l'atmosfera è quella giusta per cominciare a correre, la sistemazione di rango sulla spiaggia di My Khe è dotata di roof swimming pool e di un bar acquatico a Margarita's pomeridiani, involtini fritti e teli mare azzurri di meduse come palle da tennis gialle. Il tramonto alle spalle, il ponte dragone e quello dismesso gialli, il profilo della Montagna delle Scimmie, la folla della città alle soglie del milione a precipitarsi in acqua per un bagno collettivo da coronarie all'ora dell'imbrunire, i camerieri di Paul a giocare con gli iPhone prevalenti di uno stipendio medio da 500$ ('can we pay in Dong?'), la Water morning glory il nuovo cibo preferito del fotografo in fuga dalle onnipresenti bancarelle di seafood. Il bus navetta che porta il sosia di Luca Campiglio e la fidanzata alla mecca gialla scarica due obiettivi Nikon al mercato di Han, un vino al serpente di multe da 3000 euro in dogana, My An i resort lussuosi di ogni economia trainante, i gioielli colorati dal poco appeal, il vestito da pagliaccio per 'Shirley Temple va in Oriente', riso a pacchi e frutta e verdura ad ogni stadio di maturazione. Le vie meno trafficate di elmetti Vespa, le guardie degli istituiti bancari e i giardinieri donna dalle mascherine sul viso, moda di Taiwan a poco prezzo e thé di benvenuto in ogni caffetteria dal giardino similare, procacciatori di clienti per un tripudio di occhi cosmici e triangoli universali nel tributo al caodaismo di un Fowler già stanco di Pyle. Un mango daiquiri allenta la pressione delle spa gratuite, tra massaggi corporei e combo lente di manicure e pedicure, Runtastic molla la presa, fratelli premurosi portano in acqua salvagenti bisognosi, il vuoto dell'inutile furia del safe è quello di un buffet alla colazione, gli americani hanno vinto la guerra, il menu serale con il mackarel tra le pinte di un British expat per lavoro, mille nomi possibili per un bimbo che non nascerà: Au Lac, Vi, Ha, Ly. La comodità è quella di una cameriera che fa domande per pescare dall'acquario nuovi termini inglesi, il trasferimento quello di speculazioni edilizie all'ombra di appartamenti comunque sempre statali, l'universalità dell'avvertimento a fari lampeggianti, 50km/h di pianure agricole e la Rimini di Daniele lontana di barche colorate, il benvenuto di Hoi An un hotel monumentale dallo stesso nome, insegne presidiate dall'egida perfida del patrimonio dell'umanità a scritte oro su sfondo nero. L'ufficio di turismo griffato Illy, le prime avvisaglie di Tintin au Vietnam, la complessità di una visita a case turistiche ancora abitate e templi cinesi di dragoni di ceramica e offerte da dividere geograficamente, la sosta inevitabile al bar del mutismo per scelta di una classifica in movimento, il cartello del Lotus che si è trasferito fino alla prossima edizione, il ponte coperto che ricorda dei tempi delle congregazioni giapponesi e portoghesi. Il pranzo include manzo macinato in foglie di loto a bordo piscina, l'happy hour cyclo a trasportare traffico locale su acciottolati e moda francese dal barefoot style cool, la cena di una cucina a vista che fa improvvisare piatti il calamaro ripieno di maiale a prevalere sulla zuppa piccante alla citronella ubiquitaria, i main dei tavoli a fianco non così convincenti, e Kaspar barcolla mentre Lyndsay gli ingolla l'ultimo bicchiere di vino bianco. My Son è la testimonianza della civiltà Cham di un lontano regno annamico, l'uovo dei risvolti delle sette di mattina, il gruppo H di una misera torre per obiettivi nipponici, la ricostruzione del G e la voragine al napalm dell'A, la statuaria tedesca del B e il sentore di foresta tropicale sempre aleggiante sulle piante pulite del camminare nella natura. L'orrore dello sfruttamento razziale dei popoli nello spettacolino della piramidi umane Maya, il ripasso della provincia interna vietnamita tra karaoke bar e lavori in corso di preferenziali e aquiloni colorati, resort in legno e due lavandini di una camera sulla strada, l'acqua calda dei servizi di porcellana e il saluto con la manina a un ricordo recente amato. Il Banh Mì, baguette francese ripiena di prelibatezze locali alla soia, conquista subito il podio delle preferenze all'aeroporto internazionale di check-in veloci e voli interni dalla livrea blu, 'welcome on board sir', la distribuzione premia Acquafina in poco più di mezzora a bassa quota di una recente acquisizione SkyTeam. Sai Gon è ancora il nome del Distretto 1, l'aeroporto in espansione di pannelli in sostituzione, il cartello delle avanguardie a fare il paio con la premiata ditta Beethoven e Bach di un caffè da imprenditori locali, la limousine rosa in attesa a denotare immediatamente il tasso di occidente nell'aria dell'ex capitale del Sud, l'uomo su tutti i tagli delle banconote a dare luogo a HCMC. Viali monumentali di tronchi che salgono in cielo, vie di alberazione più recente tra negozi Apple di prezzi imposti e hotel look-a-like che si susseguono l'uno accanto all'altro nella forma tipica della casa lunga e stretta, viste mozzafiato sul Mekong con ancore giallo senape e navi ferme di tricolori casuali, il rumore incessante delle sirene su un orizzonte ormai segnato dai primi grattacieli. La prima stroll porta una moschea che da blu è più logicamente divenuta verde, ristoranti etnici ai vertici del panorama culinario cittadino, modellini di vascelli, hotel coloniali che raccontano la storia di una guerra nota a tutti. E nel cortile di un'ex raffineria di oppio Vasco non ci casca, ma Hua Tuc vale il prezzo di un tavolo buio tra comitive di elefanti e cariatidi, il Banh Xeo oltre le migliori aspettative di crepe salata di un'eredità rimescolata di macarons e croissants. Il Pho Bo nazionale che si mangia in ogni bancarella è l'anima un po'imposta del paese unificato, la Bitexco Tower un tentativo di skyline visto dal District 7, il mercato di strada l'occasione di scoprire frutta assai rara nell'emisfero occidentale (vendite piramidali escluse), e i caschi procedono spediti agli incroci di piastrelle ornamentali, lungo le strade dell'antiquariato di ceramica e giochi da tavola, nelle piazze sottoposte a trivellazioni di un trasporto pubblico inesistente a lenti bus azzurri. Studenti universitari, tetti in mattonelle rosse, negozi di bambù e braccialetti da rifiutare, t-shirt fashion, il famoso edificio che fu Hotel-de-ville, militaria et similaria, rappresentazioni al teatro di marionette sull'acqua, sarti improvvisati, un verso inconsulto per risparmiare un incidente a una borsetta Prada. Notre-Dame eletta chiesa feticcio dal timido in posa, Gustave magnifica ancora di strutture portanti e la fusione forzata è un omaggio ai Viet Cong di modelle in ao dai rossi per shooting stradali senza tacchi, le tartarughe e le fontane, le libellule e il polacco, il gallo coloniale e l'imperatore di Giada nel sonno ristoratore di un veicolo in attesa di wi-fi che si captano in automatico. Il Bier Garden e il ristorante delle cinque portate della modella grassa anticipano la chiusura ufficiale con Cholon, Chinatown deludente assai lontana dalle atmosfere de L'amante, un ultimo pranzo vietnamita dai ragazzi di strada, la moda di Singapore e le innumerevoli imitazioni dai nomi improbabili (Carlorino, Vascara, Franco Sarto), i souvenir per la casa in un piccolo terminale in attesa di più voli. E, grazie anche a Victor Hugo, abbiamo portato a casa un'altra bandiera.

giovedì 12 giugno 2014

Letteratura classica/Greene

 
Capolavoro incensato degno del nome, una città ferma alle istantanee di Rue Catinat, il delirio della guerra nella sua declinazione più assurda. Inghilterra e Stati Uniti, vecchi amici di grandi distinguo. Pagine di ottima letteratura che anticipano di molto la moda degli switch temporali, rivelando poco a poco l'unica possibile e amara verità. Imprescindibile. VOTO 8