lunedì 12 dicembre 2016

Flags/Cambodia and Laos

TRE COLORI (CONOSCO AL MONDO)



Rosso Cambogia

The weather on the last route was bumpy, la fila di impiegati che compie ognuno un gesto indispensabile, il vuoto spinto al bancone dei taxi, il riel valuta immaginaria, e scorre già l'Asia dei remork e dei motorini, insegne pubblicitarie giganti, colori sgargianti, edifici bassi e alti in alternanza, alberi di tropicalità coloniali in repliche universitarie di grandi palazzi, ospedali di aperture al commercio internazionale e ATM a ogni angolo di strada. Memorie sepolte, chi era il Fratello Numero Uno? Ma in fondo era così semplice, era questo che volevamo, una hall che serve colazione in un vicolo verde, una piscina con vista panoramica, una Angkor al tramonto che conquista subito tutto. Il rosso è la storia recente ma non più visibile tra le attività frenetiche dei negozi e i viali monumentali attorno a Independence Monument (Happy birthday song), Malis scelta ovvia delle bibbie accreditate, una tartaruga rosa per un happy hour già svanito nel sentore di trasfertisti laotiani e porte a chiusura automatica. Phnom Penh, centododicesima bandiera, terra promessa di SUV per scuole da costruire, il vento tuktukiano che inebria e dà sollievo a menti ottenebrate dai carichi di lavoro, l'alba alla 5.30 che colora di sole le silhouette attorno al monumento dell'amicizia con il vicino Vietnam, finestre di lamiere, ristoranti nepalesi, connessioni Wi-Fi di ville dai muri di cinta e fili dell'elettricità. La processione dei monaci in tunica arancio, il pesce essiccato sui tetti da Pulitzer, le nuvole minacciose che rovinano la luce ai fotografi timidi, breve divertimento di bambine per ministeri di sbarramenti stradali e t-shirt da acquistare per coprire le spalle, le tre digitali che esercitano lo zoom sui tetti colorati delle pagode, we are what we are, il Mekong nell'aria chiede un caffè americano, tenere il vostro ritmo, il cancello dell'ambasciata francese a rivivere nei sogni. Giallo e geometria del mercato centrale, giada come un grande castello, la contrattazione senza esito, un viola sacrificato e di nuovo il fenomenale landmark a farci recuperare l'amato (per un giorno) pink plushtoy tramite Facebook e un pranzo che non replica il pur fenomenale Amok in favore delle salsicce khmer. La crociera è public (private was including alcohol, for the old rich tourists from everywhere) e le due facce del grande fiume sono da subito note in un tramonto di nuvole e casinò, barche a due posti, farmacie sul ponte in legno, giovani coppie europee e famiglie malesi. Bopha è tradizione e forma d'arte, i menù degustazione al tavolo della CeramicPro, le navi attraccate che promettono notti folli, il mercato notturno di cibo di strada e musica rock diffusa, i divanetti rossi del lungofiume un rilassante pay one get one per la nostra ultima notte al Queen Boutique. E Mekong Express parte puntuale tra gli inchini delle giovani trainees e i selfie dei ragazzotti con il tuk tuk driver delle loro mille avventure, i clienti dei bar di strada, i biglietti stampati da solerti impiegate in uniforme, una Toyota a sbarrare il passo al bus per far salire i ritardatari a gustare messaggi in due lingue, toilet pulite e salviettine bagnate. Kampong Thom, pallino di soste a fabbriche di scooter, fumatrici di oppio in bicicletta, pomelo essiccato, banane mature e case tipicamente in legno senza il piano di sotto, viaggiatrici che scattano 50 selfie, Cambogia, statali in buone condizioni e traffico regolato in uscita dalla capitale verso la destinazione restituita dai francesi, palme che spariscono a vista d'occhio su Google Maps. Arkoun! Je me demande quand nous allons arriver à Siem Reap, d'accord, franchement c'est le nouveau évidemment, et puis, voilà, bonjour, ouais, bien sur, nous sommes là, un tuk tuk qui va nous porter à l'hotel Chateau d'Angkor. Il terzo piano, la piscina dalle suggestione indonesiane, l'appartamento del rasoio perduto, la descrizione di una stanza, il contratto già firmato per l'indomani, io sono forzutus, les pieds nus pour la rue, il fait chaud, et bien nous allons prendre des souvenirs minimales avec notre appareil photonumerique. Pub street primo round, i cartelli verdi dell'occasione perduta per tre chilometri in famiglia, precipitare dalla schiena di papà, l'acqua sempre fredda dell'inizio della stagione secca, i cartoni animati alla tv di balconi da due lati e mattonelle scivolose, acque minerali complementary e lattine dissetanti di birra sempre e unicamente omaggianti la capitale sacra. Le inserzioni pubblicitarie e la boule de neige, case colorate e cubi sospesi nell'aria, bambine che parlano la nostra lingua, una foglia di banana e un Mojito al pepe di Kampot, lasciare la mezza maratona a chi di competenza, un inedito percorso notturno a piedi tra le strade poco illuminate. Coppie di mezza età e oltre, centri massaggi dal personale nutrito, supermercati di mango a fette e pagamento in dollari, l'omaggio a Gordon Ramsay con un prawn amok da favola sotto il tetto in teak (con vista sulle palme, n.d.A.), il vino francese ancora accessibile a questa latitudine. Minitour, Angkor Wat la prima ovvia sosta tra i pettorali che ritornano in direzione opposta, l'epidemia di dengue e il quartiere di case dai negozi di lusso, un biglietto con foto tra gli inevitabili pullman della data di istituzione del patrimonio dell'umanità, il bastone che in un modo o nell'altro rimane sempre in hotel, la foschia a privare anche dell'illusione di poter competere con Photoshop. Monaci come modelli tra i corridoi splendidamente decorati di una patina di sporco da rimuovere, la coda per l'ultima salita, comitive cinesi e un giorno di osservazione per il trattato sulla foto ricordo, finestre di timidità offuscate, il Bayon un premio di elefanti per una bimba che corre troppo in fretta, punti cardinali dubbi di braccialetti per la destra e la sinistra, il traguardo mancato di recuperi in corsa e telefonia della primitività, Alina is there. Ta Phrom, tronchi e percorsi incerti, mura rosse e ponti di Buddha, un cambio stanza e un ultimo tuk-tuk carico di valigie fino all'aeroporto, una via di uscita nel nulla, la coda che fa un giro di meno, FFC con litigio, l'elica coraggiosa tra le nuvole minacciose di due ore di traversata greca,



Blu Laos

Il percorso del terminale è pedonale, la fila dei visti che inframmezza il Partenone, la foto ai bimbi intimiditi che scappano oltre, il primo van di una terra di milioni di elefanti e pochi tuk-tuk, il buio all'arrivo abbastanza inedito, una rotonda che impareremo a conoscere e poi subito le Vang Bua Villa, tomba di acquisti recenti per ottici che si leccano i baffi bianchi. Sabaidee! We made a reservation for you, Dyen Sabai ci accoglie con tavoli in ceramica, la strada per l'ordinazione, il buio romantico e rilassato del lungofiume, i clienti locali a gustarsi la fondue laotienne, prostitute giapponesi, coppie in cerca di diversità, Luang Parabang, questo è un'inizio che resterà per sempre nel mio cuore. E l'alba è ancora nuvolosa, la città dei galli, la piscina un retrogusto charlottiano di salvagenti e bandiere comuniste onnipresenti, il blu dato facilmente dal corso del Mekong che ci seguirà nel resto del paese, un caffè americano un po' troppo strong per la traversata a piedi del ponte dalle assi in legno. 6 persone trasportano blocchi di cemento, un exchange money di pura cortesia, ottomila o quattromila, la prima sosta monumentale allietata da Happy Birthday in 3D, case in legno a due piani, e i tetti dei templi già scolpiscono la nostra memoria indissolubilmente. Persi tra i Dubba, la salita bucolica di cortili di abitazioni a colonne, gatti randagi, cartelli nell'alfabeto locale, la seduta dorata e la prima recita della saga di Pio-Pio, un memoriale di guerra e un panorama di una collina da 150 metri da scalare a piedi nudi. Vola l'uccellino libero fuori dalla sua gabbia, chiude un cancello e apre le porte al pranzo delle guide Routard, lap e insalata di papaya verde, i teli del cibo di strada, le pavimentazioni in cotto della pedonalizzazione, la tigre che non spaventa e l'insegna casuale del driver dell'AVR, una toilette o un deposito d'acqua il dubbio amletico del dupa masa. UNESCO e la colonnina dei mosaici, this could only have been done by aliens, il luccichio delle camere rosse, la sede delle opere trafugate, un mezzo di trasporto che spezza l'inseguimento alle acque placide, gambe da coprire e zaini da riporre, il palazzo è grande, la replica riuscita, e la nuova attrazione per bambini prende il tempo che richiede una libertà sudata, vestiti a 70 dollari, il kip pienamente in sella, le ultime pareti gialle di scuole bilingui laofrancesi. La chiamata è quella del mercato notturno, il quarto d'ora di ritardo, il cocktail di tutti i colori dell'arcobaleno, l'atmosfera sospesa nei colori sgargianti delle bancarelle per terra, souvenir identici di un Prankie che costa meno, succhi di frutta strepitosi e un bamboo di zuppe segrete e melanzane vaporizzate dall'altro lato di lampioni pigri e luminarie della festività proibita. Il driver carica le valigie, la strada vecchia o nuova fa poca differenza nel solito giro panoramico di ponti per motociclette col casco, le nubi imperterrite a seguire il nostro cammino di palme e montagne di risaie, i secondi da 5 a 10, una sosta sigaretta a Kasi per una bevanda al miso e l'inevitabile BeerLao d'ordinanza, Vang Vieng che sorprende di vie non asfaltate e bungalows omonimi, i torpedoni Han alla caccia delle farfalle, un albergo nuovo di mesi che cade a pezzi, Riverside is good but the water is cold, e la prima arrampicata alla caverna conquista di zanzare e ponti arancioni, banane e pannocchie, bonjour, astrattismo di pinnacoli e offerte per gli spiriti. La laguna blu è quella dei giovani turisti del divertimento e della droga, tuffi dall'alto di un tronco, zip-line e scivoli di evoluzioni virate all'arancio dei giubbotti, good job quello di una bimba spaventata, i massi si affrontano con qualche difficoltà tra i ricordi predigitali del nostro mentore munifico e le foto ricordo mosse della Nikon sbagliata. Mezz'ora a divagare, i colori del tramonto e le lamiere di una povertà media, la palma cresciuta sulla cima di un albero, l'happy hour al ritrovo della colonia irlandese di inutili infradito, il prezzo della corsa precontrattato, i totem delle banche neozelandesi, le hamburgherie che stanno diminuendo in favore dei boutique hotels, il granchio che non si poteva bypassare, we are not guests of the hotel, menù degustazione delle favole, pistacchio e cioccolato, le zuppe sempre sul podio, le moto che attraversano nella notte il ponte in legno all'ombra delle piante secolari. E la colazione affollata di coreani che gustano la versione locale del kimchi, la pista dell'ex aeroporto, il van preferito al pickup che macina chilometri più proponibili di ricchezza che va crescendo nell'avvicinarsi alla capitale, bivi di numeri, investimenti cinesi di porte di templi e asfalto, qualcuno che dorme come una regina apprezza la compostezza della piccola capitale in ingresso, una serie di minimal al distributore di benzina per una svolta a sinistra di tricolori assolati e avamposti in legno di giardini lussureggianti. Vientiane, 113, l'amata bandiera disegna un buco bianco in testa, someone said she was waiting here many years ago, e le strade sono alberate, il minimarket regala una lattina, quattro soste di tariffe regolate da immagini colorate tra il sole finalmente protagonista delle istantanee che sostituiscono le usuali finestre con gli strepitosi tetti. L'alfabeto locale per un inchino al Budda di smeraldo (copia), il rosso e il giallo delle decorazioni, la devozione della pausa pranzo, le due sale di cupole variopinte, l'oro fantastico dell'apparizione in periferia, dove le chiacchiere tra guidatori sono un clacson per qualche monumentalità coloniale dismessa. Lo stupa nazionale affoga di impalcature e riverniciature rosse, ombrellini di protezione, una statuetta arancio, portici in costruzione di triangolarità, un arco di trionfo dal sapore esoticamente scomposto, le due più antiche testimonianze di corridoi di statue antiche e biglietti d'ingresso immancabilmente dallo stesso 'democratico' prezzo. La pazza gioia va di moda anche nelle strade della capitale, un gelato al tè verde e una caraffa da un litro, il giallo del dominatore passato, qualche ultimo tetto dalla definizione calante, il pub (chiuso) di criminali e ladri per una sera che scende immancabilmente alle cinque e mezza, il freddo diffuso dei salvagenti in legno e bambine per non giocare, il tavolino del caffè istantaneo. Nella notte (è) che la vita è diversa, lo shopping dozzinale del mercato notturno sul Mekong, le tende rosse che fumano, uno zaino di Paul Black, freccette che vincono Pikachu, prelievi rifiutati, sciarpe di qualità e vestiti di produzione locale, un barman giapponese a sublimare il tutto con esibizioni di rovesciamento acqua, portatili del WWF, tranquillità imbruttita e un'ultima amatissima morning glory. Le cartoline come passatempo di ore al terminale, uova cucinate a colazione in due turni, l'annuncio severo del ritardo, il segnale cambogiano preveggente, un lounge dove caricare le batterie, torte di compleanno (Happy Birthday Charlotte!) e tramezzini di cortesia per un flight tracker disperato. Adieu, Laos!

Bianco Thailandia (replica)

Il nome è difficile anche solo da pronunciare, Bangkok, i ricordi che emergono dal passato della Want, le nuvole che già cedono il posto alla nostra regola (si chiama Cobus), la fiumana in arrivo che annuncia i baht del domino player a valigie impilate, un tablet di distrazione, un codice che amaro sentenzia con 'more than one hour' il compleanno 'più brutto della mia vita'. E non bastano i tropici, senza sapere quando, una stazione ferroviaria che annuncia l'innamoramento prossimo, very nice hotel, Sathorn è un regalo per il genitore che replica, la suite executive 69 metri quadrati di un'illusione thailandese perenne per curricula da mandare. L'idromassaggio sarà l'ultima carta del cocktail che ghiaccia il cervello, Hugo per un'ora di esercizi acquatici a sognare le luci degli appartamenti wannabe Central Park, lo Zoom un'invenzione fortunata, la testa che letteralmente gira e rigira, un angolo di restauri, una scala rossa, sedie per bere e le luci sfavillanti della grande metropoli a pochi metri dal nostro tavolo migliore. Un sashimi scottato per la festeggiata, qualcuno che va a destra e a sinistra nel caos di digitali e cellulari, coppie che bevono sul ciglio, tre candeline gialle e tre candeline verdi per un coro a tre di sorprese ben riuscite, mance meritate e simil Sacher da Nespresso. Il traffico del mattino del venerdì insostenibile, il taxi rosa, la coda infinita di lutto nero per il bianco dei festoni dedicati alla memoria del re, il tetto arancio rosso e verde di chi inventò la 7-Eleven, il giallo dei ministeri di stato, la perquisizione a passaporto l'ennesimo straccio a coprire, i fischietti del comando a distribuire porzioni di commiserazione. I mascheroni e i pinnacoli, la reliquia rubata, la bandiera gigante e le persiane verdi, le postazioni mobili di bagni e militari, l'uccisione dei canali dall'alto di un ponteggio a coprire l'amato Wat Arun, il Budda reclinato delle cento monete a salvare l'apparenza monumentale della megalopoli, bambini che contano, bambine che pregano, la foto del profilo, Alo, e se casa mia è stata un'altra città allora non devo proprio essermene accorto. Quattordici anni (e quattordici chili) fa l'asfalto di luglio scottava troppo, madri crescono le figlie con quattro mini hamburgher, Patpong rinata regala una fetta di passato immutato, and if you know what I mean, I'm the Shy Photographer. Il buio da coronarie dell'ultima notte, le multinazionali, le laterali che replicano 'zigzagando per Chinatown', l'amata Sap, i lustrini di una Siam Square milanista, la prossima volta voglio andare  a Nana, musei di contemporaneità, sovrappassi per l'omicidio del CityLink, la scelta nota di sir Jim per cocchi da bere, ravioli blu di carne macinata, trasporti navetta elettrici e il Dusit Thani di Vazquez Montalbàn. Papi, il sushi (a colazione) è la cosa più buona del mondo, il tempio dorato ingabbiato, la Snake Farm l'ultimo omaggio agli splendidi 6 anni. Ma perché devo andare, via da Bangkok? Che mi ha accolto bene e io vorrei restare (cit.). 

domenica 11 dicembre 2016

Consigli per la lettura/Robbins


Il surrealismo di chi mischia genitali e maionese, un incipit più che demenziale per una storyline principale di nessuna consistenza, finzione evidente di situazioni e località a portare in dote all'ultimo romanzo del Robbins il dono di pagine di vuoto spinto. VOTO 4

Consigli per la lettura/Thien


La malinconia inevitabile, il trapasso doloroso incurabile, il continente nordamericano come una triste stazione obbligata in una via crucis autocommiserantesi. Un passato che torna ogni giorno e non torna mai, l'inseguimento di un tempo sepolto operazione storica di una memoria precostituita nella scomposizione narrativa tutt'altro che riuscita. VOTO 5.

Consigli per la lettura/Burdett


Classico contemporaneo di trilogie ed incipit, la sopravvalutazione di scene d'azione mal descritte, il cuore pompante di Krungthep a emergere divinamente dai bordelli di Nana e dai ponti periferici di spaccio droga. Lenta si perde nei meandri del thriller statunitense la freschezza asiatica di fondo.VOTO 6.