mercoledì 27 maggio 2015

Flags/Indonesia


SELAMAT PAGI!

Neymar palleggia con la crema solare e il terminale è già in espansione di aree rigorosamente a Cobus, la leggera turbolenza del sonno mancato spalanca gli occhi nell'aeroporto in stile tradizionale, corridoi e visti di 10 dollari in più, i porter come caratteristica in uniforme, la limousine dell'uccello blu che regala i soliti deja-vu asiatici generalisti nel traffico da subito permanentemente impazzito, Tangerang e l'obbligo del velo. Jakarta, 108, da lontano si intravedono già i grattacieli della crescita economica, le autostrade a pedaggio e gli svincoli a passo d'uomo celano il fascino nascosto delle moschee verdi e dei canali maleodoranti, i centri commerciali in lista d'attesa sul biglietto da visita dei ventisei milioni di abitanti, ondate di clorofilla disordinata a impregnare di un'afa modesta il battito dei nostri cuori. Lo sapevamo dall'inizio, che avrebbe svoltato in quella direzione, il TransJakarta e le sue corsie riservate dalle fermate sopraelevate, l'Indonesia è già le tre righe dell'Indomaret, il bambù del gazebo a fianco, il padiglione cinese del ristorante etnico dell'albergo a gestione locale, il tramonto del muezzin e delle campane, il Monas in erezione, le case a perdita d'occhio nelle quattro direzioni. Le piscine a pelo d'acqua sullo strapiombo panoramico non le hanno inventate a Singapore, il tapis-roulant di Runtastic, il taxi degli imitatori che il ph sta già cambiando e le zanzare non portano dengue in una nazione così avanzata, Merdeka Square di sensi unici e follie di svolte a uniformi, Tuguhotels prima sosta, il mix di maschere dello Shangahi Blue lontano anni luce da Londra. Le indonesiane adorano le piccole occidentali, Pagi, l'omelette al pomodoro, il succo di guava, la festività del ponte bahasa, Sunda kelapa e l'odore del mercato del pesce, i marinai che caricano sulle golette, i turisti in bici che sovrastano le pecore colonialiste di musei chiusi gratuiti ed aperti al colore, la versione indigena dell'amato tuk-tuk (blu, non arancione) per il tragitto breve del murale e dei conigli, pedonalizzazioni e fatiscenza in un universo multicolore di foto ricordo con Doraemon e Masha&Orso. Il riposo dall'intervista doppia per l'Università di lingue non può che essere nel raffinato Café Batavia di impressioni olandesi mantenute alla lontana da sporadici frontoni triangolari e tetti spioventi, Bintang Radler, lo scalone d'onore in legno, fotografi e reporter di un mondo sempre British, gli spettacoli di strada, il caos lontano di Jakarta Kota e dei suoi treni sferraglianti dell'ultimo tratto di hotel in costruzione e catene di farmacie. Freedom Square inaspettata e amata, la contrapposizione sorridente delle due religioni principali nella comunanza di orari di preghiera, i SUV stipati nel parcheggio delle torri gotiche cattoliche, le gonne corte del mondo non islamico ammesse per sbaglio sino alla sala principale tra veli non obbligatori e piedi nudi per una volta maggioritari, il grigio scuro del 1978 a dominare la scena dei costumi colorati della Lonely Planet. Poi si rende omaggio: al traffico più congestionato del pianeta nel sottopasso degli edifici finti newyorkesi e dei waroeng di strada, alle vittime dell'attentato fondamentalista dei primi duemila nel lusso spendibile del Plaza Indonesia,  all'epocale saga The Raid 1&2 con un pranzo francese di jet lag e insalate di una dieta dura a morire tra i vetri finti del pin sbagliato bistrobaronico. Non è ancora finita la celebrazione della bandiera, viste panoramiche al tramonto e scorrazzate al Lara Djonggrang per l'ultimo tavolo disponibile, poi il debutto di Kereta Api e i biglietti online di Tiket.com, una guardia solerte a inserire il codice in un paese molto orientato al rispetto del turista, 'the photographer' e il treno che arriva, mamma guarda in quel vagone non possono salire i maschi. Gambir e le suggestioni come sempre infinite in pochi secondi, la middle class di Gondangdia, le ville a due piani nella foresta di ricchezza tropicale a Cikini, le bidonville lungo la linea ferroviaria a Manggarai, luci e ombre nell'aura polverosa degli scooter a Jatinegara, E il libro che leggo inizia incredibilmente con lo stesso viaggio in treno, località per me insignificanti di negozi e fabbriche nella pianura non ancora panoramica di Java sono località dal passato glorioso per la guerra d'indipendenza, Bekasi, Cikampek e Purwakarta, la mia leggera delusione stemperata nell'affetto del combattente che torna al paesello per la morte imminente del padre, Pramoedya Ananta Toer, i divieti esagerati delle comunità di expat, le colline che spuntano dai vetri del responsabile del treno la grande attrazione dei paesaggi terrazzati dell'UNESCO, un percorso a ostacoli per un riso bianco rosso e nero. Bandung, l'appeal è da subito favorevole e assai peculiare, alberi in ogni strada, marciapiedi lastricati da benessere periferico, l'unicum dell'art déco neerlandese di palazzi chiusi da un cancello nel bosco urbano e istituti tecnici di prestigio nei sobborghi dei cavi della luce. Il fiore dorato cinese è 200m troppo in avanti di portici fatiscenti e mercanzie usate, poliziotti che fanno attraversare la strada, la ricorrenza della conferenza afroasiatica, selfie in ogni angolo, il ruolo dell'islam come collagene della società, birre ghiacciate di turisti del sesso, linee squadrate di edifici funzionali e lampioni in stile. Rasa, qualcuno in effetti litiga sempre, i panini al latte e le bevande aromatizzate, i batik economici e le piastrelle minimal, gli hotel di comitive che non si vergognano e i locali notturni di chitarre e saracinesche abbassate. Il fascino del provvisorio pervade Braga street, ristoranti internazionali per due ombrelli di pioggia battente notturna, scarpe in vendita per poche rupie, lampioni in stile da recuperare, un caveau per karaoke improbabili, un furgone di cibo di strada tavolato e flash di smartphone collettivi. Help! Il grido nel mattino di una toilet senza reminiscenze maltesi, la sala della colazione desertata di caffè e balconi con vista interna, le valigie piene di roba inutile accatastate nell'attesa di un taxi da dieci minuti, uhuhuh, quick, quick, la spinta all'uscita e i tre portantini con qualcosa in testa, il binario placido dei wafer cari e delle patatine al maki. Sette son le ore, fino a Yogya(karta), sette i vagoni di Exclusif, tra il giallo e blu dei treni pittati e le scene di strada a palme e piantagioni, cascate e greti di torrenti. Turismo interno da Sumatra e Sulawesi, linee ferroviarie chiuse di passaggi a livello e sensi unici ferali, gommisti e bar senza arak, un ponte di catene di ristorazione che non visiteremo, l'hotel bellissimo che costa pochissimo, cucina indonesiana senza sosta tra mangime per i pesci rossi e canne da pesca, welcome to Vino Bar, this is Vino Martini, la rennetta che non entrerà in nessun cuore. Kraton è un simbolo, le gabbiette degli uccelli, la proposte di altre interviste turistiche, i manichini di stoffa, i soffitti impolverati, le scolaresche di fotografie senza fretta, le bancarelle di Nasi Goreng, i rivenditori di palle colorate per fanatici della piscina e bambini arabi dispettosi. Il rispetto del tag HelpNepal, il té buddista e i meandri del castello sull'acqua, fascino ombreggiato di moschee pozzo e laghi di gradini azzurrati, tunnel per appuntamenti galanti dei tempi andati, paccottaglia di Bob Marley e piccoli oboli per le riprese fotografiche. Il solito Club Sandwich del pre-escursione, Dito e il bancomat arancio della BNI, il tramonto del tempio induista in rovina è la prima grande attrazione turistica nel traffico in uscita di monumentali università islamiche e hotel che non reggono il confronto, il benessere diffuso a ricordarci che ancora una volta siamo venuti dopo Pechino Express. Il parco giochi colorato, il trenino che non si ferma, i sassi appuntiti per i piedi nudi, le scale dai gradoni giganti per centinaia di decorazioni e statue, la regola dei terzi, turisti di Jakarta, alberi che ammantano di fascino proibito l'ascesa asfaltata sino al Candi Sewu, il profilo di una donna a stagliarsi sul vulcano per un ammasso di rovine romantiche. Ma il passo successivo è una panchina per il sonno della notte, un altro driver per un'altra biglietteria, l'alba disneyana del tour organizzato, lo spettacolo per pochi di torce nel torpore dell'alba, un'ascesa rapida per chi ha bambini da curare, un'attesa lunga ore per fotografi professionisti in cerca della composizione perfetta, un sole birichino che appare e svanisce nella nebbia, i buddha nelle nicchie da contare. E non si rende omaggio alla bandiera rossa del forte olandese chiuso nel lunedì festivo, un cartone già statua, un solerte impiegato del governatore a indirizzare i nostri passi di laterali a quotidianità scolastiche e poliziesche, e chi torna a casa varca la soglia più amata, nell'atelier di pittura su batik l'omaggio al lascito che fece partire il biglietto della small child, is this a Final Masquerade? Malioboro, alla fine il feticcio più amato dai backpackers si svela nella sua anima commerciale notturna, negozi in successione per taxi azzurri e long dress che verranno forse spediti, i crackers indonesiani al gambero, il riso al granchio, il Mie Goreng in zuppa nella lunga lista dei piatti da ricordare. L'ultimo transito è quello di chi ci aveva preceduto, Solo (Surakarta) un rimpianto che dura solo qualche minuto tra gli hotel di charme dell'M Gallery e le attrattive di una città di medie dimensioni, stazioni di campagna a introdurre nell'East Java, il folle della freccia nel debutto della città che non avrebbe dovuto bere secondo i sempre pessimi recensori australiani, la piccola Singapore secondo più affidabili giornalisti cinesi di provincia. Midtown è la location in cui si addormenterà Coniglietto, il primo hotel senza piscina di una clientela d'affari indonesiana che non rinuncia alla sacrosanta Heineken in un tramonto afoso, il centro commerciale dei divieti e dei piani di ristorazione, la fami(g)lia Wakai già in agguato, il sandalo rosa di un'Asia similmente asiatica, il debutto delle concessionarie auto che dominano le strade a colpi di minimal involontari. Il sovrappasso dei lavori in corso preannuncia la disavventura dello zucchero filato, i festoni bianchi e rossi di 'Hey Monaco, what the fuck?', casalinghe che adorano i propri elettrodomestici, un sottomarino che lancia missili come in un lontano passato, dita che restano sugli scatti, altalene a Topolino di barche e turisti autoctoni, il pancake di durian l'eccezione alla regola nell'amore per le leggendarie paste verdi dei diciott'anni. E l'abbraccio è spontaneo al plexiglass, Luceeana Veronicha l'angelo del selfie all'AlfaMart del Magnum Espresso, cantieri al buio di nuove aperture, il fascino tropicale delle città portuali, un'attesa nella notte del bus driver che esce nel sonno dai tentacoli a bancomat illuminati, il traffico paralizzato dei camioncini e dei tir lungo le direttive del piccolo grande sud javanese, la memoria fondamentalista di Madura in qualche sobborgo dai negozi chiusi. Il riposo all'aria condizionata, la sosta nella casa dell'autista, la jeep che imbarca verso la salita al freddo dei cinque gradi, 2770m e una folle gara di sorpassi con altri fuoristrada griffati Nokia, le solite improbabili donne di mezz'età con i capelli corti, le coppiette di pseudo-fotografi in attesa di un treppiedi per l'ennesima alba spettacolarizzata nel solco vulcanico percorso da un mare di sabbia e cavalli. Pur (but he is not poor) coccola e tiene in braccio una bambina con qualche problema di acclimatamento alla prima altitudine, le pannocchie 'only salt' ante-litteram dei baracchini a noleggio giacche e memorabilia di terza serie, un tempio di una minoranza tra le mille, una salita di batterie scariche ed equivoci per telefonate da cinque euro. Il riposo delle valigie oscura la cavalcata del Blue Bird sino alla città vecchia, tra fatiscenza coloniale scomposta e strade larghe di nessuna freddezza, il traffico immobile di una stazione FM, la fabbrica spenta delle operaie che hanno già staccato, l'ikat in vendita grezzo, il quadro astratto di una cena aziendale in divisa blu. Garuda, l'uccello mitologico e la filosofia delle religioni paritarie, il terminal 2 del villaggio da attraversare, Starbucks is coming, la tassa d'uscita del campanello d'allarme, il cokelat d'ordinanza già balinese. So then, Bali, here we are, the most overrated place on Earth, e una fontana di divinità remote zampilla la soddisfazione visibile del nuovo terminale contaminato dal vetro nella sua replica fedele dei motivi decorativi degli onnipresenti templi isolani. Telecamere sparano ritornelli universali, la promenade dei sottobicchieri e dei pappagalli, le tonalità basilari del grigio e del mattone, le palme timide di un cielo azzurrato, la catena rigorosamente a Km zero degli hotel con piscina a charme locale, il bunnet of Bali Hai e la pizza (Hut style), le onde di surfisti dilettanti che affrontano i modesti cavalloni di Double Six Beach. E Mozzarella ammalia con i Lychee Martini (meglio del Chilli Rita del Seaside), Kuta pulsa e manda messaggi in codice, la ristorazione va in prenotazione, il sashimi di tonno una casa da amare, la musica dal vivo a chiedersi se siamo ancora i soli a voler omaggiare 'Kuta Theater?'. UbudUbudUbuddd sembra il verso di un animale, Mambo e la sua berlina di occhiali di principesse, ore e ore di macchina per non vedere niente, la prima sosta è l'obbligatoria danza del barong, il ritmo ossessivo del gamelan in una birra anticipata di comitive organizzate, intagliatori di legno e tessitori di batik, lo zoo degli elefanti e la kopi plantation di assaggi divinatori tra le terrazze da colonnina e le cascate che qualcuno definirebbe breathtaking. La morte di una persona VIP nel centro della quindicesima meta del mondo secondo Tripadvisor, i necrologi coloratissimi di plastica commestibile, lo sguardo annoiato delle coppie senza un programma, le stradine congestionate non sembre abbellite dai giovani frangipane, I went many times with Italianos, but this is the first time that I was invited for lunch. E l'attrazione più bella è quella che fa il verso inconsapevole alla cultura popolare dell'Indiana Jones (o del Salgari italiano), scimmiette libere di abitare santuari mistici nel bel mezzo di una jungla cittadina, nessuna curiosa come George, non date loro banane, i templi turriti che affondano nell'omologazione, il varano in pietra e le offerte per gli spiriti buoni. Il jolly di Suamba non è Biku ma Bambu, Seminyak curata e altezzosa, Seminyak di dolci al latte e frutta tropicale, boutique di costumi da bagno alla moda e aquiloni a forma di navi pirata nere e colorate, Seminyak del ceviche e del bebek. Kimberley non c'è all'appuntamento coi saluti del dopo Beatles dance, il magnete viola e il tamburello australiano scrivono FINE col sangue versato dei ricordi tristi, non c'è più tempo per piazze del lusso o altri scivoli dei pompieri mai visti, l'aereo è già atterrato safe and sound e le nuvole non sono più sotto di noi. Terima Kasih!

sabato 9 maggio 2015

Cinema indonesiano/Merantau


        

Sceneggiatura 7: qui non c'è (ancora) Hollywood con la sua cinepresa, la possibilità di creare un eroe sconfitto nei meandri del silat, romanticismo un filo sdolcinato da esordiente.
Scenografia 7: Jakarta di quotidianità a baracchini analcolici e cantieri di recinti da scavalcare, i vicoli come bassifondi, le luci rosse della prostituzione turistica.
Cast 5,5: un contributo occidentale senza credibilità di cattivismo represso, gli antagonisti al pareggio della prima sfida, espressivamente cfiana la sorella coraggio.
Regia 7: scene come fondamenta di quello che verrà, il bus nella notte delle illusioni, la ferita mortale nell'abbraccio dell'eredità, combattimenti ancora lontani da estremismi successivi.

giovedì 7 maggio 2015

Cinema indonesiano/The Raid 2



Sceneggiatura 7: Woo e Kitano avevano largamente fatto conoscere il genere (a base di gangster orientali, n.d.b.), Evans personalizza attingendo in parte al bacino del primo episodio.
Scenografia 8: location fantastiche come il carcere dal cortile in fango o il nightclub a balconi, un'Indonesia notturna e malavitosa, metropolitane di martelli e palle da baseball.
Cast 7: l'eroe prosegue la sua marcia solitaria da un film all'altro, stanchezza evidente di inseguimenti in auto e combattimenti portati all'estremo del sadismo.
Regia 7,5: maestria nel raccordare in un'esperienza visuale storie di tradimenti e di criminalità a vari livelli, le scene di arti marziali spesso e volentieri epocali.

martedì 5 maggio 2015

Cinema indonesiano/The Raid



Sceneggiatura 8: una missione apparentemente suicida, il gioco facile dei primi piani, il silat pane quotidiano dei combattimenti nei corridoi, un doppio twist a scombinare le carte dallo spoiler facile.
Scenografia 7,5: piove alla periferia di Jakarta, un fortino della droga presidiato dalla televisione, megafoni e laboratori di raffinazione, fatiscenza abissale ed epocale,
Cast 7,5: tra buoni e cattivi, traditori di una parte e dell'altra, grande allenamento in minuti concitati di combattimenti mortali, il livello di realismo egregio.
Regia 7,5: un gallese in Indonesia, action movie al sapor di REC, violenza fine agli scopi della trama, dinamismo assoluto di eventi e telecamera (una piccola Panasonic, n.d.w.).

domenica 3 maggio 2015

Horrorland/Macabre



Sceneggiatura 6: slasher derivativo di ovvie critiche, la capacità persino superiore a certi prototipi hollywoodiani di mantenere interesse in ogni scena mai scontata.
Scenografia 6: un motel a Bandung, lungo la strada di cartelli verdi per Jakarta, la villetta nel nulla di scale per isolamenti e furgoni di traffico di organi.
Cast 7: varie interpretazioni all'altezza, a spiccare da subito l'eroina che si sa essere l'unica sopravvissuta, magnificamente diabolica la mistress dell'immortalità.
Regia 7: the Mo Brothers, oltre al nome omaggiante c'è del talento, il massacro è lento e non del tutto prevedibile nella sua sequenza, teste che volano e organi da mangiare.