giovedì 25 gennaio 2018

Letteratura contemporanea/Manzini


Attore e scrittore della Roma centralista e accentratrice, costruisce un mondo plausibilissimo di malavite che si intrecciano attorno al ruolo del solito burbero e sconftto personaggio chiave, finendo per assomigliare ad altri filoni della stessa casa editrice. L'episodio specifico non incanta, diviso in due sottotrame poliziesche dove l'elemento investigativo è ridotto ai minimi termini. Aosta invisibile di nomi autoctoni occupati. Quando anche Roma denuncia Roma. VOTO 6,5


martedì 9 gennaio 2018

Letteratura contemporanea/Grossman III


Storie del coming of age, una Jerusalem di sbandati e disperazione contenuta da vita quotidiana della fine dei '90, ben riprodotta tra i vicoli della città vecchia e i musicisti di strada della Yafo. L'alternanza narrativa molto abusata ha un suo senso compiuto, squilibrando però le parti dei coprotagonisti per una parità oggettivamente impossibile e finendo per cartonare completemente metà del percorso (quello assafiano). La metà di Tamar tiene ideologicamente e idealmente, la forza dell'adolescenza che può sconfiggere il male, serate ben narrate nel rifugio dei tossicodipendenti, una fuga finale che poteva avere ben altri sviluppi, se fosse stata funzionale al messaggio. VOTO 6,5

sabato 6 gennaio 2018

Flags/Palestine


LA TORCIA DI ORFEO

Il tourbillon dell'ovvietà quotidiana si dipana all'improvviso, Natale, febbre, lavoro, sono arrivati gli Avvenimenti, e il parcheggio dei taxi è ancora una volta quello di scatti verso la prima vettura, kippah che la radio accompagna un traffico sostenuto di nuvole e curve già viste, la sosta dell'anziano arabo che attraversa e ringrazia, i percorsi della memoria da subito ovvi di hotel passati e strade da riconoscere. Come la neve che porta dicembre, siamo tornati a cercare la verità su queste terre così spesso strumentalizzate da chi non ha ancora voluto capire che cosa sia la politica. E chi vive per la tradizione, non aiuta il prossimo. Chi vive per la religione, non pensa praticamente mai. Chi crede che il prossimo sia diverso, è cieco. Uomo, donna e bambino sono la stessa cosa. Legacy (I don't see any Legacy, direbbe la solita turista sgarbata), la stanza che ci fa riposare e la cuccia di Zuccherino ricomprato all'IKEA, l'attraveramento della Green Line è lasciato ai semafori, la novità non più così recente (2011) del tram che collega la città santa di tutti e di nessuno, case collettive di ortodossia e investimenti immobiliari pullulanti a rilanciare il mercato immobiliare in toni a piastrelle beige. Cambiano i nomi e spuntano gli alberi, Mahane Yehuda Market e la quota di 250 ambulanti, caramelle colorate e baklava di strada, folla indaffarata e servizio placido, un ritorno in taxi meraviglioso tra i ponti dal tradmeark calatraviano e l'introspezione acuta del giovedì sera a Mea Sharim, vestiti poveri e manifesti da leggere, luci basse e negozietti tradizionali, la diversità per scelta che si accetta, se solo sapesse accettarsi essa stessa. Una cena da annali è quanto aspetta i due reduci della Gerusalemme della guerra di Gaza, un piatto di Mezza tra i lustrini colorati dell'American Colony, expat (immgrants?) di lingua tedesca e ravioli di carne gustosissimi, Palestinian Pottery ancora non svela l'ingresso del negozio, tra i gabbiotti abbandonati di un consolato di chi si fa dettare la linea politica da altri paesi. Come una candela che è dentro di me, ricevo il dono della vista. E mi alzo! Bein Harim è un colosso del turismo israeliano, una serie di bus parcheggiati al campus universitario del Mount Scopus e numeri da assegnare ai vari gruppi sulla base degli hotel del ritorno (pick-up style), Dan Porges un anziano intrattenitore che si mantiene per molto tempo distante dalle parole che qualcuno vorrebbe sentirgli pronunciare, il deserto della Giudea, caravanserragli, grotte di grandi scoperte, zone di pertinenza, A, B e C. La sosta delle pecore non può che essere commerciale di Ahava products e qualche prezzo maggiorato anche nella ripresa dello shekel, un bollino blu a coprire una macchia di burek a colazione, poi la grande attrazione del cielo nuvoloso, Masada che non è la quasi omonima del Golan ma la fortezza di Erode sulle sponde del Mar Morto, palazzo settentrionale senza discesa, mosaici per foto da vendere, l'orsetto del cuore, la teleferica fascinosa di pietre e storie millenarie da sovrapporre. E siamo la scintilla che accende la fiamma della verità, il politically correct sincero e dominante, la soluzione pacifica del side by side, di fatto già in atto al di là dei titoli per giornali da analfabetismo funzionale, la corruzione che accomuna il paese ebraico all'Unione Sovietica l'ultima stoccata prima del riposo nel fango dell'acqua salata, due costumi da bagno portati e non indossati nel freddo inatteso dei 17 gradi (Martino ne aveva avuti 24, Fil.ippo 40). Jericho rimane lontana dalla strada, c'era chi ne aveva persino paura, le targhe palestinesi che si mescolano in coda alle targhe israeliane, il tramonto non ci porterà per la seconda volta agli Ulivi, lo shabbat è iniziato e tra i bancomat della Salah e-din la promessa di una prossima venuta, sale giochi per uomini viziati, una accogliente pizzeria già preallertata in vivisezione, i sapori universali del Taboulleh e del Makloubeh in porzioni come sempre impossibili da gestire anche con l'amato ausilio della birra Taybeh. Siamo al giorno della verità, Green Olive aveva più volte sollecitato la conferma, update per Lorenzo, il King David è l'Empire State di un bagel del 2009, l'autista che conta scrupoloso non vede la testa di una bambina arruolata, e il bus parte e avanza verso nord. a Hizma i primi saluti del cambio di vettura delle leggi razziali, un té al cardamomo per benvenuto, Yamin da subito guida spirituale di quotidianità che echeggiano inevitabilmente anche in calando le dichiarazioni di Donald Trump. Le pietre di Kafr'Aqab pronte per proteste che non attecchiranno, la gente vive in pace nelle aree ben amminstrate dall'Autorità, l'aiuola spartitraffico il segnale della raccolta di tasse e rifiuti a carico di Ramallah, capitale de facto e sede del governo dello stato osservatore all'ONU. Visitiamo la tomba di Arafat, sorprendentemente sobria e spogliata di simboli nazionalisti, l'eleganza della pioggia in un giorno d'affari ad Al-Bireh, questa vita è la pena di essere nati se non si sa cercare la luce, la gelateria più famosa della Palestina, un gusto alla colla per Charlotte, alberi e decorazioni di Natale ovunque da proiettare in mondovisione sulla spianata di certe stazioni ferroviarie, il suq e un piumino rosa a pois, Twice! sarà l'ultimo rimbrotto prima di salutare la centosedicesima bandiera di un fotografo timido in disarmo, ambasciate e inversioni di marcia. Fuoco, vento, la terra e il mare sono uno. East Jerusalem, nome contestato, da una parte gli insediamenti senza serbatoi sul tetto, Maale Adumim, dall'altra un quartiere di nuove villette e moschee, al-Eizarya, il ritmo placido dei lavori stradali scambiato per un checkpoint di controlli blandi, una strada donata dall'America per autoscontri autogenerati, gli ulivi e le caprette di monasteri greco-ortodossi per la felicità dei bambini saltellanti. Bethlehem, your star shines bright today, Banksy e l'affrettata identificazione, dal buio e dalla paura sono nato, i vicoli di porte dalle mille tonalità di azzurro e verde, la coda per la grotta con la mangiatoia, i mosaici scoperti dai restauratori italiani, il turista catalano che si agita a pranzo per un'indipendenza guadagnata e poi miserevolmente sottratta. Città magica che conquista da subito, la patria di Gesù offre anche ai palati non pellegrinanti, il mix delle luci verdi e dei rintocchi, le bandiere rosse, verdi, bianche e nere, le palme alte in un cielo improvvisamente azzurro, i restauri che recuperano, le volte e le balconate della zona vecchia, hotel per pullman ingombranti, il campo profughi di bambini con status di rifugiati, la strada che scende e incontra il muro di Sharon tra le botteghe di periferia araba, i distributori di benzina e le colombe da mirare. Controversia, la tomba di Rachele, luogo santo per chi crede ai profeti e ai messia di qualsiasi lingua, isolata da pareti di altezza a cemento armato, da subito attrazione per graffiti e più recenti hotel banskiani dove si fa dell'occupazione una Disneyland tutto sommato conveniente al processo di pace, il confine da passare a piedi tra le pizzerie senza clienti, le ultime corse con la guida, un parco giochi che sembra una prigione, o viceversa, il tesserino blu da vidimare nell'assenza del metal detector. E le casette continuano a spuntare! We all bleed the same colour. Il bus pubblico fa la sua parte di raccordo, scendono i diti medi al presidente, scende chi pensava di avere incontrato l'amore al Walled Off, scende chi sta schivando il freddo marziano di Winnipeg, scendiamo noi dai gradini dell'incedere lento della scuola guida per bulldozer e auto, un covo di gatti randagi sotto il porticato lento del Jerusalem Hotel a cibarsi di hummus e kebab. E' l'ultimo dell'anno, diamo un pugno a Manno unicorno cuscino arcobaleno, e turnul nostru in tara sfanta, così il mantra 'forza forza moschee' ci porta a colmare la più grande lacuna della via dolorosa passata, i militari blandi e il riservista isolato, la salita della questione religiosa una passrella in legno per la spianata/monte, la cupola d'oro che ogni cartolina vuole ritrarre dalla propria egoistica parte, piastrelle azzurre fuori dal tempo, gatti che graffiano, uccellini da rimettere in libertà, armenità passate chiuse, nuove piazze di teenager annoiati, persiane colorate, il flavour vallettiano a ritornare, la nuova collezione permanente di shopping Mamilla a offire uno shawarma di pesce e una dimenticanza da recuperare a tarda sera tra gli edifici abbandonati e le suggestioni dell'anno che cade. Una bottiglia di Cava per bevitori isolati, non ci sarà una terza Intifada, le memorie si confondono tra i musei alla tolleranza e i nuovi interventi che hanno cancellato memorie storiche su Flickr, parametri di hamburgherie in crisi e palloncini argentati da gonfiare, 2018 nei dintorni già esplorati di Zion Square, un pub che ha chiuso tra le cupole del Russian Compound e la scuola etiope, il nargila all'affollato bar di clientela velata per combattere il fuoco col fuoco, la gioia di chi alla mezzanotte imminente canta e si incammina nel futuro, in mano la torcia di Orfeo per mostrare la luce a tutti coloro (per primi i governi) che ancora non l'hanno vista. Jerusalem è viva, Jerusalem è di tutti.