lunedì 21 settembre 2015

Flags/Eritrea


CRYSTAL CLEAR

Il leit motiv dei Crystallion ancora in testa, l'antilope viola manda qualche fischio diurno, il normal cooling dell'ora tarda, la frase mal pronunciata il percorso della memoria più recente di terzi scivoli e oysters bar svizzeri. Sir, are you with? No, I am not. But I have visa. Occhi traballanti e mani che si passano una pagina, il cambio a tasso fisso la realtà amara del Nakfa regina dell'euro, ciao Lorenzo, Ravizzoni e la bandiera del colonialista, nella notte degli Arrivals un cartello e un foglio appeso sopra, la routine di 30 anni a lavorare in fabbrica col signor Tagliero. Le luci illuminano, colori da ballo tra i buttafuori di musica tradizionale, Asmara Palace di siti del turismo universale e circuiti di pagamento irrimediabilmente tagliati fuori, locally known as Asmera. Eyerusalem e l'ora di Abuja, three nights and a half, breakfast on Sunday ends at 10.30, for you 11, il tappo della birra locale sul copriletto colorato e la vista del cortile delle mille cameriere dei diversi gruppi etnici. L'altopiano dice 2300, il respiro corto delle scale senza ascensore, la prima immagine di due ragazzi con gli occhi persi sui loro smartphone, il pancake e la banana, la spremuta e il caffè espresso di maestri millantati. Where's your shoes la domanda più ovvia, per una volta magicamente soppiantata la classica Where r u from? di scatti che indugiano e timidezza diffusa in ambo le direzioni, l'elemosina rara di anziane che alzano gli occhi al cielo, iconografia islamica, gruppi misti e persone da sole, veli e jeans attillati tra i caffè all'aperto dello struscio mattutino, un macchiato per una moneta antica falsa. E i bimbi giocano a calcio in laterali dal poco traffico, poi la folla in attesa di compostezza e stupore per le volate finali del Giro d'Eritrea, il minimal che certi contesti impongono, banche senza sportelli bancomat, portici di mercati, il richiamo della sinagoga, la fontana a zampilli azzurri del quartiere italiano di Ghezzabanda. Quotidianità di cancelli zigrinati, chiese a mosaici e moschee a vetri, associazioni sportive e ambasciate, il quartiere di villette a dare un sentore di Antananarivo a una città già profondamente diversa dall'immaginario ingenuo e supponente, le palme dell'indipendenza in vendita per un ritratto recente di Afewerki. Cinema che programmano film horror, sale religiose di confessioni minori a mattoni, il rimpianto dell'esoso e il tetto a spiovente del parallelo, negozi di prima necessità dalle saracinesche colorate, il calar del meriggio che si accompagna implacabilmente a nuvole portatrici di pioggia africana. L'Odeon si risveglia e la birra manca, il viale si riempie e il gin manca, Padova, Golden Star un'etichetta solo evocata, Spaghetti House un comfort maggiore tra sassi e balconate quasi panoramiche sulla ex Casa del Fascio, la pizza Asmarina il nome perfetto di una squadra di calcio per un nuovo futuro dal retrogusto passato. Diciannove gradi e un sole di colline verdi a scalinate malgasce, cappuccini di vecchi banconi in legno, la filatelia di una scala a code ordinate fuori dai supermercati, l'imponenza di mattoni ex consolari e negozi per immersioni e attività sportive, la discesa dello sterrato e le cupole delle tante splendide chiese cittadine, auto datate dalle tinte vivaci tra le manovre di donne a scuola guida su 600 azzurre e bus di linea dalle fermate celesti e verdi. Vecchie case a un piano come laboratori artigianali, i palloni di plastica di località balneari mediterranee, la mercanzia alimentare assai brillante su stuoie bianche, mercati in muratura dal tetto in acciaio, Eritrea Square di arcate in successione e timide boutique di abbigliamento, le piastrelle greche e la centrale elettrica senza luci, la vita tradizionale del buon musulmano in comunità miste. Mobili di un qualche antiquariato tra i prati incolti della spianata per la cupola dal retrogusto romeno, la stupefacente Cattedrale ortodossa di Nda Mariam l'highlight assoluto dell'ambiente urbano, la vista che spazia su altri simboli di altre confessioni per un muticulturalismo a prima vista riuscito, il casco di banane e le mattonelle che scottano nell'ora che anticipa la zuppa e il negozio di Walter l'ottico, i dettagli architettonici M Sondrio-like di una chiesa in stile romanico lombardo, una guida colorata di una vecchia Parigi lo scroscio di nubi a temporali tra le cartine del perimetro storico e dei suoi tanti possibili percorsi. E la vita scorre pulsante nelle notti di bar affollati da uomini e donne, una fetta di torta alla pasticceria, un piatto di pasta dal sugo contaminato dai gusti locali, un bicchierino di tè e uno di zibib per lo show della polizia e dell'ubriachezza molesta di clienti indisciplinate. L'ultimo giorno del wi-fi Eritel riserva l'attesa antipatia delle guardie armate che sfollano le fotocamere con fischietti e minacce, edifici di un certo pregio celati al turismo internazionale inesistente di giovani inglesi e coppie giapponesi, le bimbe che urlano 'China, China' per un qualcosa di ignoto, alberi nei viali di complessi residenziali dal retrogusto casalingo criptato. L'ospedale e il murale, la salita per una basilica fantasticamente sopravvalutata, il verde dei parchi e il giallo delle cupole smaltate, preistorie del commerciale in insegne multicolor e ragazzine curiose dal gommista, l'uccello dalle ali spiegate in transenne che non rendono giustizia, il sandalo rimosso per la voglia di erba, un monumento ai martiri e la passata induzione di sorrisi facili per ristoranti affidabili e bar fumosi di aperitivi e birre da bere rovesciati. La suora e i generatori di corrente, i pini e le lamiere arrugginite, il gesto immortale delle braccia protese, minimal di fili, altri edifici monumentali dimenticati lontano dalla vista di colline che degradano come l'estate, una piscina di piastrelle colorate datata 1933, il Cinema Roma che sfida l'Impero in un derby di un giorno, scuole italiane scientifiche di uniformi e bandiere, il tricolore locale mutuato dall'ELF poco in vista di un nazionalismo onesto oltre i simboli di guerriglie in testi australiani per tentativi di finzione mal riusciti. Il kitfo e l'injera, la berbere e l'acqua minerale gassata in tipiche bottiglie dal vetro marrone, le persone che scorrono sulle strade dai larghi marciapiedi di una progettazione oggi ardita, l'ultimo tavolino per i saluti di un tablet in modalità aereo. Carry on, on my way, there is no more left to say. I am here, Crystal Clear.

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