lunedì 6 gennaio 2014

Flags/Iran


SIMIN CAPODAN PERSIA'

Quando torniamo a Milano andiamo da Andreea. Io sono di Milano. Evviva, l'auo. Guarda papà, assomiglia a Onchao. Lo scivolooo. E' buio, ecco perché avevo sonno. Mmm, la zuppa. Dopo si fa la pappa. Ciuccio. Brr, che freddo. Ah ah ho vomitato sul pannolino. Ma dove dormiamo tutti? Guarda, le fontane. Sì, c'è la vasca! Ho sonno. Dopo andiamo a visitare il dottore per il mio pancino. Questa bella canzoncina servirà a fare amicizia, a iniziare tutti insieme la lezione musicale. Il riso giallo. Non voglio rosso. La mia mappa dice che dobbiamo andare di qua. Vi faccio una foto. Azzurro come te, come il cielo e il mare... I dolcini per la Rosy, io ho tre Rosy. Ape golosa, tieni. Di corsa! Ma non finisce mai questo cavallino? Voglio anch'io il tè. Ancora un pezzetto di zucchero, l'ultimo. Questo sarà il nostro segreto. Cosa sono quelle cose là? Non mi piace viaggiare. Gli elefanti sono animali! Un pittore. Il panino a forma di granchio. Mamma, mamma! Ho preso gli uovi da sola. Ecco il signore. Dinosauri! Io voglio andare dai dinosauri. Che bello! Vola! Guarda, mamma, un bimbo piccolo. Braccio papà. Mamma, mamma, vengo con te. Vieni con papà, la mamma arriverà, quetto non si sa. Le principesse! A casa mia, viene Tel. Tel è un amico che viene sempre a casa mia, e mi mette un chiodo sul muro. Ti piace quello? Il letto per mangiare. Non voglio rosso! Gelatina. Ancora carne. Perché il signore sta là? E' finto. Si è rotto, uffa. Non è affatto divertente. Cavallo. No. Ihh. Avanti, indietro, avanti, indietro, wash! Mi fa male il pancino. Ciao! Che buone queste patatine alla pizza. Macchina! Voglio andare al ristorante. Voglio il letto dove si mangia. Ehi papà! Andiamo a fare qualche foto, mamma. Le luci. E' ghiacciata. Non ci sono panini. Olive. Tieni, papà. 

Abyaneh. Persi tra le montagne, in una strada stretta ma asfaltata stiamo salendo, salendo per arrivare al piccolo paesino citato dalle guide e anche dal nostro autista, Abyaneh. Un paesaggio mozzafiato con appena una spolverata di neve. Cosa ci aspetta e cosa ci può offrire questo posto perso nel nulla? Siamo a un incrocio e sembra che la nostra guida non sappia la strada. Peccato che non possiamo comunicare con la nostra guida perché l'inglese è ancora tutto da scoprire. L'amore per viaggiare, vedere, esplorare più posti ci fa fidare di queste guide in modo incondizionato. Eccoci arrivati, lasciati in macchina e la guida sparisce. La guida è stupita perché non c'è niente a parte due o tre case. Arrivati dove? Nel nulla, e siamo già di ritorno. Ecco che ferma un abitante del posto e chiede indicazioni finendo il tutto con una risata (interpretata da noi che aveva sbagliato strada). Mi sembrava strano che la guida conoscesse questo posto, in effetti lui non sa niente. E siamo ancora tra le montagne. In tutto ciò devo riconoscere che il paesaggio è sconvolgente, il sole riscalda e il cielo è di un azzurro cristallino. Adesso sì che siamo arrivati, si capisce dalle macchine fotografiche che stanno spuntando. Un piccolo paese di color rosso mattone, tutto costruito di questo fango particolare. Qui il tempo si è fermato, con delle anziane signore che vendono le loro produzioni di frutta essiccata, fiori per le tisane e spezie, con le strade a serpentina di fango battuto e una spolverata di neve che aumenta il fascino di questo angolo di mondo isolato da tutto e da tutti. Veniamo ricevuti dal forno del paese, che fa e sforna in diretta in pane iraniano, sottile, leggero, che sfama le persone del posto, i turisti e anche i gattini che giocano un ruolo importante per la nostra piccola viaggiatrice. Camminiamo, esploriamo, assaporiamo questo paese. Niente di mai visto, ma unico per quello che ci trasmette. In mezz'oretta viene attraversato tutto e subito di ritorno. Comprato un altro pane e saziati i gatti si va giù dalle montagne sulla bella strada tra le piccole tane che giocano il ruolo delle abitazioni. Via per un'altra avventura, Kashan.

Ecco il pedaggio, No, no, c'è un'altra strada più avanti. Dopo sohan. Una cupola dorata. Cartelli che indicano, dev'essere di qui. Quella è la casa da vedere. Comprano delle bamboline alla bimba. Di là. Andiamo in macchina. Ecco la seconda. L'hammam è là. Chiuso? No aperto. Chiuso. Quello dimenticava lo zaino. Con chi ce l'ha? Abbasi! Forse riesco a parcheggiare qui, c'è un motorino appena davanti. Tè non ne voglio, grazie. Pranzo? Dopo. Lorenzo, qua no. Non va bene. Andiamo lungo la strada principale. Sì, quanto rompe questo con Fin Garden. Ecco, qui, Sì, è un hotel. No, digli che non voglio parlare con lui, sono solo un autista. Provo a sentire qui. Chiuso, ma ce n'è uno più avanti. Là? No. Qui. Ah no, è abbandonato. Chiedo un po' in questo chiosco delle acque. E' più indietro. Qui. Chicken kebab. Gustoso. Yoghurt, prezzemolo, pane, verza rossa. Ragazzo porta le Pepsi. Mersi. Veloce il tè che sta per chiudere Fin Garden. Come già chiuso? Li faccia entrare un attimo, devono andare a Teheran, c'è una bimba piccola, sono venuti apposta. Niente da fare, hotel Tehran. Telefono. Sì, abbiamo appena lasciato Kashan.

La stessa moschea dell'andata, eccola. Bella, illuminata ora e allora. Un mendicante. Impossibile raccomandare la città 'just religious', della dinastia degli ayatollaco, quella dove si costruiscono infrastrutture 'più che in ogni altro posto dell'Iran', un carnevalesco diuturno assai inappropriato, che se mandi britannici a recensire ristoranti allora puoi mandare sauditi a recensire pub. Qom, comunque, avevano ragione gli Adineh, 'non c'è niente', ma il profumo dei dolciumi inebria nei contorni occidentali quasi americani delle aree di servizio. Il bivio atteso per l'aeroporto, pubblicità illuminate mentre si discute se sia meglio Saipa o Ikco (noi amiamo il cavallino), le sanzioni che ancora non mollano, un incredibile complesso illuminato, 'Imam Khomeini' pontifica l'autista, notevoli i minareti dalle luci verdi, notevole la gru che testimonia di lavori ancora in corso 25 anni dopo la 'straziante dipartita'. E proprio mentre il ben noto traffico da ponte non calcolato blocca le nostre evoluzioni in ingresso, il 103 non si saluta, oppresso dal pianto urlato del virus da intestino irritabile, e un biscotto palliativo saluta la cartografia del Shoosh, stazione degli autobus e sentore istambulino dominante. Homa non è Abbasi e nemmeno Espinas, eppure paiono esagerate le stroncature della bibbia online del turista, l'inglese sempre pronto nelle traduzioni subitanee delle festività sciite e delle visite a venire, la camera larga di passeggini da introdurre e le comitive di pecore magnificamente assenti dalla scena. Sharam è subito protagonista sublime, dal saluto all'angelo rosa alla guida esperta nei meandri tentacolari notturni della grande capitale da 14 milioni di abitanti, molti quartieri non visti, a est sono un po' diversi, ah ah ah, e l'ex calciatore che fa il pediatra notturno al Pars Hospital millanta pizze superiori (ma Murano resterà desiderio inespresso), gol di Ali Daei e suggerimenti di esami da fare in Iran o in Italia. I due ritratti appaiati non possono mancare, il velo di due giovani ospiti locali appena abbozzato, la marmellata di carote e il cetriolo da mangiare col sale, la piscina vuota dell'estate, le piastrelle che introducono set da bandiera, Boggi Milano davanti all'ingresso da far invocare l'extraterrestre che telefonava a casa. Vanak ha lampioni e preferenziali ma serrande abbassate, Vali Asr prima edizione per una simpatica area giochi coloratissima di erba artificiale tra le università di facciata religiosa, i ministeri dalle decorazioni tradizionali, i cantieri aperti di nuove costruzioni che fanno sognare mete lontane di quartieri affluenti e ristoranti 'splurge', la lunga serie di attrezzi per fisici in forma all'ombra del bando alcolico. Le aiuole di 'cavoli'. Le macchinine da corsa. Park-e Mellat. Bank Melli Iran, no way, i conti sono bloccati e i bancomat non riconoscono le carte 'straniere', Africa Boulevard è una discesa tra boutique più o meno griffate, gli attraversamenti non così biblici come da patrimonio dello specchio, i negozi di fiori che il toman regna sovrano sul rial e la comprensione si delega a clienti sempre colti e cortesi, una coda di un quarto d'ora per assaporare la diversità culinaria caspica di pesci alla griglia, stufati di lago e carretti siciliani. Una enorme bandiera dai versetti coranici sventola pigra sulla collina di edifici simbolici e mura da vestigia posticce, giardini spogli sulle prime pendici della metropolitana sotterranea, un micro centro commerciale chiuso tra il blend ateniese di su e giù vorticosi, il tramonto anticipato di Gandhi Street a far girare il cuore assieme alle giostre. La sera si recita in This is not a film, non è il Nowruz ma la torta porta scritte celebrative, il portiere non raccoglie la spazzatura ma il posto auto riflette colonne razionaliste, il salotto dal tappeto doppio non spazia su condomini alti ma sulla quiete verde di Yussuf Abad, tolleranza religiosa di sinagoghe, farmacie a probiotici e negozietti aperti tutta notte. Happy new year, la fretta foriera di stanze da cinque stelle illumina circuiti alternativi, la neve pallida delle piastrelle riscaldate, il fango delle stazioni dei taxi, la scorta rapida e affamata sino alla porta aperta della chichaya, un Golestan da giardino persiano Unesco e la sala degli specchi riaperta dal nuovo presidente, controlli assolutamente blandi, che mai come qui la realtà è differente dal 'sentito dire', di murale che abbelliscono le strade degli svincoli, ponti sopraelevati di propaganda del regime a bandiere nere, mattoni di architetti illuminati a proteggere le poche vestigia non trafugate da inglesi e francesi. La mitica Azadi Tower, Argo e il fotomontaggio istambulino, il bazar nascosto sotterraneo, rompere un vetro e andarsene senza proferire verbo, per lo shopping ci sono un paio di foglietti scritti a matita mentre il profilo della Milad Tower stravince sulle moschee in costruzione di un futuro da videogame. Sharvand, primo round, la cassa delle caramelle al cocco, Argentina Square che riflette la solitudine di un matrimonio di sette appartamenti del secolo scorso, Tavazo nuts la ripetizione del Parkway sotto la neve cadente e un centro commerciale 'finto antico' da pochi spiccioli e albicocche secche, le zuppe al buffet nella tranquillità assodata del bluff svelato. Se sia Rasht la città più bella non è dato sapere, rimangono certezze di giorni solari e partecipati, quattrocento foto di piastrelle e una recensione positiva per il cavallo alato della Pegasus. Khoda Hafez. 

Nessun commento:

Posta un commento